L’autolesionismo inizia a preoccupare: parliamone!

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Parola all’esperto

L’autolesionismo non suicidario

a cura di Michelina FEDERICO
(Psicologa – Psicoterapeuta)

Ho deciso di scrivere questo articolo perché da settembre a questa parte sono arrivati a studio pazienti adolescenti con diagnosi di autolesionismo non suicidario.
Vi spiego meglio di cosa si tratta:
l’ autolesionismo non suicidario è un comportamento che in particolar modo gli adolescenti attuano contro se stessi per provocare dolore o lesioni non superficiali sul corpo (le lesioni vengono prodotte con lamette o oggetti appuntiti come aghi, oppure ci sono alcuni giovani che provano ad ingerire il detersivo solo assaggiandolo), alla fine diventa una sorta di comportamento morboso che tiene in ostaggio il corpo.
L’ intento non ha come fine la morte, anche se spesso gli atteggiamenti sono molto simili a quelli del tentativo di suicidio.
Infatti anche il ragazzo o la ragazza che adotta questo tipo di comportamento non ha intenzione di morire, peró c’è da sottolineare che il rischio di morte aumenta se vi è l’errore nel produrre la lesione; per esempio se con la lametta si scende più in profondità nella vena o se si intacca una arteria, oppure ancora nell’ingestione del quantitativo di sostanze velenose.
Anche se l’autolesione superficiale non causa il decesso, a lungo termine per il giovane autolesionista c’è un’alta probabilità di portare a termine il suicidio.

La diagnosi purtroppo è molto sottostimata dai genitori perché quando accompagnano i figli in consulenza o durante le sedute di psicoterapia familiare sono tutti convinti che i ragazzi adottano questo tipo di comportamento “SOLO PER ATTIRARE LA LORO ATTENZIONE”….. MA ATTENZIONE!!! In realtà non è così.

Quelli che ho incontrato io in seduta sono tutti di una estrema sensibilità. Alcuni vivono disagi con i coetanei come episodi di bullismo, altri disagi familiari, liti separazioni, divorzi.
Bisogna fare molta attenzione perché in alcuni casi ci sono in atto altre patologie psichiatriche che slantetizzano il problema. Secondo Rossi Monti e D’Agostino (2009) questo fenomeno, un po’ come accade con il suicidio, sembra piuttosto il punto di arrivo di percorsi molto diversi; l’oggettività del dato (un danno sulla pelle) rischia però di farne passare in secondo piano la dimensione soggettiva, ovvero i motivi e i vissuti della persona.

Sicuramente il fatto che i giovani si procurino deliberatamente un danno fisico rappresenta una variabile molto significativa, pertanto è un modo per ridurre la tensione o sentimenti negativi che provano nei confronti dei propri vissuti, è un modo per risolvere difficoltà interpersonali, ma soprattutto è una modalità per provare piacere, può sembrare strano ma è proprio così è un modo per sentirsi vivi attraverso il bruciore provato sulla loro pelle.
Io durante le sedute mi chiedo sempre quali sono i reali bisogni di questi ragazzi che a volte non parlano perchè caratterialmente chiusi o molte altre volte non sanno esprimere ciò di cui hanno bisogno perché non si conoscono abbastanza.
Molti ritengono che l’autolesionismo non sia un problema, pertanto non cercano, né accettano di essere aiutati ma attraverso la psicoterapia si possono scoprire stati del sé, migliorare il rapporto con I coetanei e la famiglia e imparare a discriminare le emozioni che aiutano a sentirsi vivi eliminando quei tagli che bruciano sulla pelle per la gestione di una vita sana.

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